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La strage sui binari di Brandizzo del 30 agosto 2023

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La strage sui binari di Brandizzo 30 08 2023

La strage sui binari di Brandizzo del 30 agosto 2023

ID 20307 | 02.09.2023 / Notizia seguita

Nella notte tra il 30 e il 31 agosto 2023 alla stazione di Brandizzo, alle porte di Torino, cinque operai dell’azienda appaltatrice di Rfi, Sigifer di Borgo Vercelli, sono stati investiti da un convoglio fuori servizio, in fase di spostamento da Alessandria a Torino, mentre svolgevano alcuni lavori di manutenzione sui binari. 

Tale genere di interventi di manutenzione, che nello specifico riguardavano il cosiddetto armamento (binari, traverse, massicciata) dovevano essere svolti in assenza di circolazione dei treni. Il cantiere poteva essere attivato, soltanto dopo che, il responsabile della squadra operativa del cantiere, in questo caso dell’Impresa, aveva ricevuto il nulla osta formale ad operare, in esito all’interruzione concessa, da parte del personale abilitato di RFI.

Sul binario 1 della Milano-Torino alla stazione di Brandizzo, al momento dell'incidente, le persone al lavoro erano sette: i cinque investiti e uccisi più il capocantiere e l’agente di scorta e tecnico manutentore, ovvero l’uomo che il committente dei lavori (in questo caso Rete ferroviaria italiana) è obbligata ad affiancare ai lavoratori che hanno in appalto il cantiere, sopravvissuti al disastro.

L’inchiesta per disastro ferroviario e omicidio plurimo colposo guidata dalla Procuratrice Gabriella Viglione e condotta dai pm Giulia Nicodemi e Valentina Bossi con la polizia ferroviaria di Torino ha al centro violazioni dei protocolli per il rilascio del nulla osta e delle autorizzazioni a svolgere le manutenzioni sui binari.

"Sono emerse gravi violazioni della procedura di sicurezza al momento dell'incidente", ha spiegato il procuratore capo di Ivrea, Gabriella Viglione. Talmente gravi che, sebbene il fascicolo sia stato aperto per disastro e omicidio colposo, gli inquirenti non escludono si arrivi a ipotizzare il dolo eventuale.

"Gli accertamenti proseguono per verificare se può essere considerata sicura la procedura complessiva. Quanto accaduto ha reso palese che il meccanismo di garanzia non era sufficiente a tutelare un lavoro così delicato in una sede pericolosa come quella dei binari ferroviari", ha sottolineato il procuratore.

Il dolo eventuale è la più grave delle fattispecie di reato che si possano ricondurre alle violazioni sulle procedure di sicurezza sul lavoro. Implica infatti che gli eventi che si sono verificati fossero prevedibili e che sia stato accettato il rischio che ciò potesse succedere.

"L'attuale situazione ci porta a ritenere che non ci fosse l'autorizzazione a lavorare in quel momento. Questo benché ci fosse del personale proposto a verificare che l'autorizzazione dovesse esserci".

La procura di Ivrea ha iscritto sul registro degli indagati le prime due persone per il disastro ferroviario, ovvero l'addetto di Rfi al cantiere in cui lavoravano le vittime e il capocantiere della Sigifer e collega delle cinque vittime.

Non a caso i loro nomi sono stati i primi iscritti sul registro degli indagati, in quanto spetta a loro dare il via libera agli operai per l’apertura del cantiere. Ma per farlo devono avere la certezza che sia stata autorizzata l’interruzione programmata oraria (sospensione dei treni in transito lungo una linea che prevede la presenza di operai al lavoro): un documento che - a seguire la procedura corretta - il dirigente della centrale operativa manda al responsabile dell’ufficio movimenti e che l’ufficio movimenti comunica con una telefonata all’agente di scorta.

È stato emesso il documento? La risposta è no. O almeno: gli inquirenti non ne hanno trovato traccia. E allora perché è stato dato il via libera agli operai che quella notte dovevano sostituire un tratto di rotaia? E poi il loro intervento era previsto fra mezzanotte e le due. E perché hanno cominciato a lavorare anzitempo? Sì, perché la squadra è arrivata in stazione che erano più o meno le 23. Il tempo di prepararsi, di scaricare e preparare l’attrezzatura, e alle 23.40 (circa) è stato detto agli operai: potete andare.

Li ha autorizzati il tecnico di scorta di Rfi, ma per farlo avrebbe dovuto non soltanto avere l’ok telefonico da Chivasso - cioè la conferma che era in corso l’interruzione programmata - ma anche compilare e firmare un modulo specifico per l’inizio dei lavori. Modulo che doveva compilare e firmare anche l’altro sopravvissuto, il caposquadra. In Procura però tutto ciò non risulta, non è stato né compilato né firmato alcun modulo da nessuno dei due. Vero è che il capocantiere e il tecnico di scorta avrebbero lavorato tutti e due accanto ai colleghi poi investiti dal treno. Non rispettare la procedure metteva a repentaglio anche le loro vite. Perché farlo? Una delle ipotesi d’indagine è che il 30 agosto, a Brandizzo, siano entrare in scena le «regole» non scritte delle consuetudini scorrette, a scapito della sicurezza. Per esempio aprire il cantiere perché tanto Chivasso prima o poi avrebbe dato il via libera che si aspettava.

C’è una telefonata, agli atti, che potrebbe chiarire molto sul fronte delle responsabilità. È una chiamata registrata fra l’uomo di scorta di Rfi e il responsabile dell’Ufficio movimenti di Chivasso. È stato il tecnico di scorta di Rfi a rivelare agli inquirenti che fra lui e l’Ufficio movimenti c’era stato più di un contatto. Non sappiamo che cosa si siano detti i due, se il tecnico scorta di Rfi sollecitava Chivasso per sapere dell’interruzione della linea o altro. Sappiamo però che nell’ultima telefonata si sente prima il rumore dei lavori, poi il frastuono del treno piombato sul binario 1 a cento all’ora e infine le urla disperate. 

Il fattore ritardo. Il treno - un locomotore più 11 carrozze vuote - viaggiava infatti con 20-25 minuti di ritardo sulla tabella di marcia. Il tecnico di scorta di Rfi avrebbe dichiarato a verbale che lui sapeva, sì, del transito di quel treno ma, appunto, secondo i suoi calcoli era già passato mentre gli operai erano sui binari al lavoro. Ma lei lo ha visto passare?, gli hanno chiesto. La risposta è stata "no, non l’ho visto". Forse c’è proprio la convinzione del transito mai avvenuto alla base della decisione di mandare gli operai sulle rotaie.

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Fonte: Corriere della Sera / ANSA / RFI 

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